".... Articolo di proprietà del Corriere della Sera di, RAFFAELLA POLATO..) Monti e l’università: abolire il valore legale della laurea A pagina 5 di RAFFAELLA POLATO dal Corriere - 2 giugno 2005
L’INTERVISTA:
(..... «Il sistema universitario - dice al Corriere Mario Monti (foto) , ex commissario europeo alla Concorrenza e presidente della Bocconi - deve diventare protagonista del rilancio del Paese». Ma oggi è un sistema che Monti senza mezzi termini definisce troppo «corporativo» e che rischia di «procedere per inerzia conservatrice». La riforma del mondo accademico «passa per l’abolizione del valore legale del titolo di studio». Monti e l'innovazione: l'università di oggi è troppo corporativa «La riforma passa per l'abolizione del valore legale del titolo di studio. Cominciamo da qui per superare la crisi strutturale del Paese »
MILANO Un sistema che, senza mezzi termini, definisce «corporativo».
Una struttura che rischia di «procedere per inerzia conservatrice». Un’esigenza non più rinviabile: «Cambiare». Ma non a parole. Perché se non si comincia da lì, dalla scuola e dall’Università,
l’Italia «si gioca l’unica carta che ha per superare una crisi strutturale e di prospettiva molto grave».
Quella carta, dice Mario Monti, è «l’investimento nel capitale umano», è il «dare maggiore spazio ai giovani» di cui parla Carlo Azeglio Ciampi. E però il meccanismo non può funzionare, non al meglio, se anche nella «corporazione dei prof» non si introduce più concorrenza.
E sbaglierebbe chi, a questo punto, liquidasse come una semplice provocazione la conseguente proposta dell’ex Commissario Ue (alla concorrenza, appunto): «Senza pensare di abolire oggi il valore legale del titolo di studio, sarebbe interessante esaminare l’ipotesi e fare magari qualche simulazione». La sfida però è più alta: «Il sistema universitario deve diventare protagonista del rilancio del Paese», determinante per battere la crisi. L’Università Bocconi, della quale Monti è presidente, a questo ruolo si sta attrezzando con un piano strategico (approvato dal consiglio in maggio e che, in luglio, verrà completato con i cambiamenti nelle strutture organizzative e con il piano economico-finanziario).
Criterio ispiratore: «Le nuove condizioni del Paese richiedono chiarezza di visione». Sembra inutile chiederle, professor Monti, se c’è sintonia anche con quanto detto da Luca Cordero di Montezemolo all’assemblea di Confindustria: «La concorrenza è un mezzo per migliorare il Paese attraverso un processo meritocratico che deve cominciare dalla scuola». Ma condivide anche la critica implicita, «il sistema oggi non è all’altezza»? «Il rapporto tra cultura e sviluppo economico esige ovunque un ripensamento. Ma ancor più lo richiede in Paesi come l’Italia o la Francia in cui, accanto a una grandissima tradizione culturale, un ruolo da sempre centrale nell’orientare l’istruzione, la ricerca e più in generale l’economia, lo hanno lo Stato e le corporazioni. Con il risultato che, a differenza dei Paesi anglosassoni, nel determinare le politiche economiche è stato di solito preponderante il peso delle forze produttive organizzate, imprenditoriali e MILANO - Un sistema che, senza mezzi termini, definisce «corporativo».
Una struttura che rischia di «procedere per inerzia conservatrice». Un’esigenza non più rinviabile: «Cambiare». Ma non a parole. Perché se non si comincia da lì, dalla scuola e dall’Università, l’Italia «si gioca l’unica carta che ha per superare una crisi strutturale e di prospettiva molto grave». Quella carta, dice Mario Monti, è «l’investimento nel capitale umano», è il «dare maggiore spazio ai giovani» di cui parla Carlo Azeglio Ciampi. E però il meccanismo non può funzionare, non al meglio, se anche nella «corporazione dei prof» non si introduce più concorrenza. E sbaglierebbe chi, a questo punto, liquidasse come una semplice provocazione la conseguente proposta dell’ex Commissario Ue (alla concorrenza, appunto): «Senza pensare di abolire oggi il valore legale del titolo di studio, sarebbe interessante esaminare l’ipotesi e fare magari qualche simulazione».
La sfida però è più alta: «Il sistema universitario deve diventare protagonista del rilancio del Paese», determinante per battere la crisi. L’Università Bocconi, della quale Monti è presidente, a questo ruolo si sta attrezzando con un piano strategico (approvato dal consiglio in maggio e che, in luglio, verrà completato con i cambiamenti nelle strutture organizzative e con il piano economico-finanziario). Criterio ispiratore: «Le nuove condizioni del Paese richiedono chiarezza di visione». Sembra inutile chiederle, professor Monti, se c’è sintonia anche con quanto detto da Luca Cordero di Montezemolo all’assemblea di Confindustria:
«La concorrenza è un mezzo per migliorare il Paese attraverso un processo meritocratico che deve cominciare dalla scuola». Ma condivide anche la critica implicita, «il sistema oggi non è all’altezza»? «Il rapporto tra cultura e sviluppo economico esige ovunque un ripensamento. Ma ancor più lo richiede in Paesi come l’Italia o la Francia in cui, accanto a una grandissima tradizione culturale, un ruolo da sempre centrale nell’orientare l’istruzione, la ricerca e più in generale l’economia, lo hanno lo Stato e le corporazioni. Con il risultato che, a differenza dei Paesi anglosassoni, nel determinare le politiche economiche è stato di solito preponderante il peso delle forze produttive organizzate, imprenditoriali e sindacali, ma quasi del tutto assente quello dei cittadini-consumatori. Con conseguenze negative sulla competitività: le pressioni prevalenti non sono quelle del mercato».
Idem per le università? «È una constatazione: è molto intenso sia il tasso di "presenza statale", sia la "voce" delle organizzazioni dei produttori. Ossia i professori. Mentre non è abbastanza grande l’attenzione ai "consumatori": studenti e futuri datori di lavoro». È per questo che parla di rischio di «procedere per inerzia conservatrice »? «Promuovere il cambiamento è fondamentale, e qui l’impegno del ministro Moratti è forte. Però rimane molto da fare». Per esempio? «Una riflessione sul valore legale delle lauree sarebbe utile. Come sulle regole di governance delle università. Ma è fondamentale anche riempire di contenuti affermazioni vere e tuttavia ancora vuote, come "società della conoscenza" e "investimento sul capitale umano". Il potere della conoscenza come forza trainante dello sviluppo economico è un dato di fatto. Il cammino verso la "società della conoscenza" ha una particolare importanza per un’università come la Bocconi e per il posto che in questo cammino occupano le discipline dell’economia, del management, del diritto. Discipline che mostrano una rinnovata vitalità come criteri di interpretazione dei fatti sociali e come base degli strumenti operativi per governarli».
E IL CAPITALE UMANO?
«Investire vuol dire prima di tutto dare regole chiare e trasparenti, e penso per esempio alla riforma degli ordini professionali o all’accesso alla carriera accademica. Regole che siano funzionali alla selezione dei migliori e quindi anche alla mobilità sociale, valide non solo sul mercato italiano ma su quello europeo e mondiale. Mi lasci usare un termine da ex Commissario alla concorrenza. Oggi il "mercato rilevante" è l’Europa, non più l’Italia. E se la Bocconi ha sempre avuto un ruolo di cerniera con l’Europa, da oggi questo ruolo è ancora più importante. I "no" alla Costituzione Ue devono servire a una doverosa riflessione sulle carenze dell’Europa, ma non da alibi ai meravigliosi conservatorismi di alcuni Paesi». Italia in prima fila? «Forse in posizione di spicco». Si dice: serve un salto di qualità nella classe dirigente. La Bocconi è da sempre un punto di riferimento: ma non ha, a sua volta, mancato la missione? «Credo proprio di no. Una delle mie maggiori soddisfazioni, nei dieci anni Ue, è stato incontrare imprenditori ed esponenti di governi di tutto il mondo che dicevano: "Il suo ateneo ha prodotto alcuni dei nostri migliori dirigenti". È chiaro però che l’università italiana, per essere una delle forze trainanti del Paese, deve essere in grado di anticiparne i bisogni in termini di formazione di una nuova figura di cittadino e operatore europeo. Il piano strategico per lo sviluppo decennale della Bocconi, al quale ha lavorato con impegno e generosità l’intero corpo docente sotto la guida del rettore Angelo Provasoli e con l’impulso del vicepresidente Luigi Guatri, risponde a quest’esigenza». «Occorre chiarezza di visione sul futuro», scrive il vostro consiglio. Ma come si traduce in pratica, e in programmi, la «lettura» dei prossimi anni? «La riforma nazionale del sistema ha lasciato spazi di dubbio, dunque occorre intanto restituire certezze a studenti e mercato del lavoro. Il che accadrà con la ristrutturazione dei corsi esistenti e la messa a punto di nuovi prodotti formativi, con programmi che assicurino flessibilità, multidisciplinarità e internazionalizzazione, con una maggiore selezione ma anche una rinnovata attenzione al modello didattico. L’ambizione non è solo di istruire, ma anche di formare cittadini capaci di innestare nella società civile quelle "nuove energie" di cui ha parlato il Presidente Ciampi. E in questo impegno la Bocconi considera essenziale custodire gelosamente la propria totale indipendenza dal potere politico ed economico. Se l’Italia non è rispettata come dovrebbe e non è competitiva come potrebbe, lo si deve anche a commistioni improprie tra politica, economia e istituzioni». (Raffaella Polato . ................
L’INTERVISTA:
(..... «Il sistema universitario - dice al Corriere Mario Monti (foto) , ex commissario europeo alla Concorrenza e presidente della Bocconi - deve diventare protagonista del rilancio del Paese». Ma oggi è un sistema che Monti senza mezzi termini definisce troppo «corporativo» e che rischia di «procedere per inerzia conservatrice». La riforma del mondo accademico «passa per l’abolizione del valore legale del titolo di studio». Monti e l'innovazione: l'università di oggi è troppo corporativa «La riforma passa per l'abolizione del valore legale del titolo di studio. Cominciamo da qui per superare la crisi strutturale del Paese »
MILANO Un sistema che, senza mezzi termini, definisce «corporativo».
Una struttura che rischia di «procedere per inerzia conservatrice». Un’esigenza non più rinviabile: «Cambiare». Ma non a parole. Perché se non si comincia da lì, dalla scuola e dall’Università,
l’Italia «si gioca l’unica carta che ha per superare una crisi strutturale e di prospettiva molto grave».
Quella carta, dice Mario Monti, è «l’investimento nel capitale umano», è il «dare maggiore spazio ai giovani» di cui parla Carlo Azeglio Ciampi. E però il meccanismo non può funzionare, non al meglio, se anche nella «corporazione dei prof» non si introduce più concorrenza.
E sbaglierebbe chi, a questo punto, liquidasse come una semplice provocazione la conseguente proposta dell’ex Commissario Ue (alla concorrenza, appunto): «Senza pensare di abolire oggi il valore legale del titolo di studio, sarebbe interessante esaminare l’ipotesi e fare magari qualche simulazione». La sfida però è più alta: «Il sistema universitario deve diventare protagonista del rilancio del Paese», determinante per battere la crisi. L’Università Bocconi, della quale Monti è presidente, a questo ruolo si sta attrezzando con un piano strategico (approvato dal consiglio in maggio e che, in luglio, verrà completato con i cambiamenti nelle strutture organizzative e con il piano economico-finanziario).
Criterio ispiratore: «Le nuove condizioni del Paese richiedono chiarezza di visione». Sembra inutile chiederle, professor Monti, se c’è sintonia anche con quanto detto da Luca Cordero di Montezemolo all’assemblea di Confindustria: «La concorrenza è un mezzo per migliorare il Paese attraverso un processo meritocratico che deve cominciare dalla scuola». Ma condivide anche la critica implicita, «il sistema oggi non è all’altezza»? «Il rapporto tra cultura e sviluppo economico esige ovunque un ripensamento. Ma ancor più lo richiede in Paesi come l’Italia o la Francia in cui, accanto a una grandissima tradizione culturale, un ruolo da sempre centrale nell’orientare l’istruzione, la ricerca e più in generale l’economia, lo hanno lo Stato e le corporazioni. Con il risultato che, a differenza dei Paesi anglosassoni, nel determinare le politiche economiche è stato di solito preponderante il peso delle forze produttive organizzate, imprenditoriali e MILANO - Un sistema che, senza mezzi termini, definisce «corporativo».
Una struttura che rischia di «procedere per inerzia conservatrice». Un’esigenza non più rinviabile: «Cambiare». Ma non a parole. Perché se non si comincia da lì, dalla scuola e dall’Università, l’Italia «si gioca l’unica carta che ha per superare una crisi strutturale e di prospettiva molto grave». Quella carta, dice Mario Monti, è «l’investimento nel capitale umano», è il «dare maggiore spazio ai giovani» di cui parla Carlo Azeglio Ciampi. E però il meccanismo non può funzionare, non al meglio, se anche nella «corporazione dei prof» non si introduce più concorrenza. E sbaglierebbe chi, a questo punto, liquidasse come una semplice provocazione la conseguente proposta dell’ex Commissario Ue (alla concorrenza, appunto): «Senza pensare di abolire oggi il valore legale del titolo di studio, sarebbe interessante esaminare l’ipotesi e fare magari qualche simulazione».
La sfida però è più alta: «Il sistema universitario deve diventare protagonista del rilancio del Paese», determinante per battere la crisi. L’Università Bocconi, della quale Monti è presidente, a questo ruolo si sta attrezzando con un piano strategico (approvato dal consiglio in maggio e che, in luglio, verrà completato con i cambiamenti nelle strutture organizzative e con il piano economico-finanziario). Criterio ispiratore: «Le nuove condizioni del Paese richiedono chiarezza di visione». Sembra inutile chiederle, professor Monti, se c’è sintonia anche con quanto detto da Luca Cordero di Montezemolo all’assemblea di Confindustria:
«La concorrenza è un mezzo per migliorare il Paese attraverso un processo meritocratico che deve cominciare dalla scuola». Ma condivide anche la critica implicita, «il sistema oggi non è all’altezza»? «Il rapporto tra cultura e sviluppo economico esige ovunque un ripensamento. Ma ancor più lo richiede in Paesi come l’Italia o la Francia in cui, accanto a una grandissima tradizione culturale, un ruolo da sempre centrale nell’orientare l’istruzione, la ricerca e più in generale l’economia, lo hanno lo Stato e le corporazioni. Con il risultato che, a differenza dei Paesi anglosassoni, nel determinare le politiche economiche è stato di solito preponderante il peso delle forze produttive organizzate, imprenditoriali e sindacali, ma quasi del tutto assente quello dei cittadini-consumatori. Con conseguenze negative sulla competitività: le pressioni prevalenti non sono quelle del mercato».
Idem per le università? «È una constatazione: è molto intenso sia il tasso di "presenza statale", sia la "voce" delle organizzazioni dei produttori. Ossia i professori. Mentre non è abbastanza grande l’attenzione ai "consumatori": studenti e futuri datori di lavoro». È per questo che parla di rischio di «procedere per inerzia conservatrice »? «Promuovere il cambiamento è fondamentale, e qui l’impegno del ministro Moratti è forte. Però rimane molto da fare». Per esempio? «Una riflessione sul valore legale delle lauree sarebbe utile. Come sulle regole di governance delle università. Ma è fondamentale anche riempire di contenuti affermazioni vere e tuttavia ancora vuote, come "società della conoscenza" e "investimento sul capitale umano". Il potere della conoscenza come forza trainante dello sviluppo economico è un dato di fatto. Il cammino verso la "società della conoscenza" ha una particolare importanza per un’università come la Bocconi e per il posto che in questo cammino occupano le discipline dell’economia, del management, del diritto. Discipline che mostrano una rinnovata vitalità come criteri di interpretazione dei fatti sociali e come base degli strumenti operativi per governarli».
E IL CAPITALE UMANO?
«Investire vuol dire prima di tutto dare regole chiare e trasparenti, e penso per esempio alla riforma degli ordini professionali o all’accesso alla carriera accademica. Regole che siano funzionali alla selezione dei migliori e quindi anche alla mobilità sociale, valide non solo sul mercato italiano ma su quello europeo e mondiale. Mi lasci usare un termine da ex Commissario alla concorrenza. Oggi il "mercato rilevante" è l’Europa, non più l’Italia. E se la Bocconi ha sempre avuto un ruolo di cerniera con l’Europa, da oggi questo ruolo è ancora più importante. I "no" alla Costituzione Ue devono servire a una doverosa riflessione sulle carenze dell’Europa, ma non da alibi ai meravigliosi conservatorismi di alcuni Paesi». Italia in prima fila? «Forse in posizione di spicco». Si dice: serve un salto di qualità nella classe dirigente. La Bocconi è da sempre un punto di riferimento: ma non ha, a sua volta, mancato la missione? «Credo proprio di no. Una delle mie maggiori soddisfazioni, nei dieci anni Ue, è stato incontrare imprenditori ed esponenti di governi di tutto il mondo che dicevano: "Il suo ateneo ha prodotto alcuni dei nostri migliori dirigenti". È chiaro però che l’università italiana, per essere una delle forze trainanti del Paese, deve essere in grado di anticiparne i bisogni in termini di formazione di una nuova figura di cittadino e operatore europeo. Il piano strategico per lo sviluppo decennale della Bocconi, al quale ha lavorato con impegno e generosità l’intero corpo docente sotto la guida del rettore Angelo Provasoli e con l’impulso del vicepresidente Luigi Guatri, risponde a quest’esigenza». «Occorre chiarezza di visione sul futuro», scrive il vostro consiglio. Ma come si traduce in pratica, e in programmi, la «lettura» dei prossimi anni? «La riforma nazionale del sistema ha lasciato spazi di dubbio, dunque occorre intanto restituire certezze a studenti e mercato del lavoro. Il che accadrà con la ristrutturazione dei corsi esistenti e la messa a punto di nuovi prodotti formativi, con programmi che assicurino flessibilità, multidisciplinarità e internazionalizzazione, con una maggiore selezione ma anche una rinnovata attenzione al modello didattico. L’ambizione non è solo di istruire, ma anche di formare cittadini capaci di innestare nella società civile quelle "nuove energie" di cui ha parlato il Presidente Ciampi. E in questo impegno la Bocconi considera essenziale custodire gelosamente la propria totale indipendenza dal potere politico ed economico. Se l’Italia non è rispettata come dovrebbe e non è competitiva come potrebbe, lo si deve anche a commistioni improprie tra politica, economia e istituzioni». (Raffaella Polato . ................